In questi giorni sui media si è fatto un gran parlare della elevata mortalità che apparentemente sta colpendo gli Italiani affetti dal Covid-19.
Le ipotesi fatte sono le più varie, età avanzata della popolazione, inquinamento, abitudini alimentari, crisi per saturazione del sistema sanitario e molte altre.
Una ricerca di ISPI – Italian Institute for International Political Studies, nell’articolo CORONAVIRUS: LA LETALITÀ IN ITALIA, TRA APPARENZA E REALTÀ – sviluppa con adeguato dettaglio una serie di consistenti considerazioni. Considerazioni che comprendono anche le evidenze di quanto sta succedendo in altri Paesi.
Infatti, a fronte di una letalità del 9,9% in Italia – peraltro molto diversa da Regione a Regione, con la Lombardia che registra una letalità del 13,6% – altri Paesi hanno evidenze molto diverse
Che questi indici non siano rappresentativi della reale situazione lo spiega ISPI
Che la letalità apparente sia una cifra non utilizzabile per comprendere come l’epidemia si comporta all’interno e tra i vari Paesi è facile da capire: è sufficiente osservare l’andamento nel tempo del CFR (ndr: Tasso di letalità apparente, cioè il numero dei morti sul numero delle persone infette) italiano. Nei primi giorni dell’epidemia la letalità italiana si attestava intorno al 3%, e tra il 25 febbraio e il 1° marzo era persino gradualmente scesa fino al 2%. Da quel giorno in avanti, al contrario, la letalità ha invertito la rotta e ha cominciato ad aumentare, gradualmente e linearmente, fino a raggiungere il 9,9% il 24 marzo.
Per interpretare queste percentuali, così diverse tra i Paesi ed addirittura tra le Regioni, è necessario considerare anche i diversi approcci applicati per la gestione dell’epidemia ed in particolare il numero di tamponi fatti e quindi del numero di persone considerate infette. Se una Regione fa pochi test, solo per le persone ritenute sintomatiche è normale attendersi una percentuale di casi positivi molto elevata. Al contrario, se una Regione estende il controllo ad una più ampia parte della popolazione, per esempio sottoponendo a test anche le persone che sono venute a contatto con contagiati, è ovvio attendersi una percentuale più bassa.
Quindi, stabilito che le indicazioni basate sul Tasso di letalità apparente non sono attendibili, è necessario approfondire la valutazione.
Alcuni studi indicano per la Cina una letalità dell’ordine dello 0,66 % invece che del 4,0 % come indicato nelle statistiche ufficiali.
Seguendo le indicazioni contenute in uno studio di un team di esperti dell’Imperial College di Londra, guidati da M. Ferguson, riferite alla situazione in Inghilterra, la letalità in quel Paese viene stimata intorno allo 0,9%.
Seguendo questo approccio le indicazioni elaborate da ISPI indicano per l’Italia una situazione simile.
Seguendo l’esempio di Ferguson et al. abbiamo deciso di replicare l’analisi adattandola al caso italiano. L’Italia ha una distribuzione della popolazione per classi di età ancora più spostata verso gli anziani, ed è dunque naturale attendersi che la letalità plausibile di COVID-19 sia leggermente più alta di quella britannica. Riportando la letalità plausibile stimata per COVID-19 alle varie classi d’età, stimiamo che la letalità plausibile della malattia in Italia si aggiri intorno all’1,14%.
Stimiamo in questo modo che la popolazione di casi attivi (contagiosi) plausibili sia a oggi quasi dieci volte più alta dei casi ufficiali, nell’ordine delle 530.000 unità contro i 54.030 casi ufficiali al 24 marzo 2020 (Fig. 9). L’incertezza attorno a questa stima è piuttosto ampia: si va da un minimo di 350.000 casi a un massimo di 1,2 milioni di persone contagiose attualmente in Italia.
Concludendo, allo stato si può affermare che:
– il virus italiano non è più letale di quello cinese o quello di altri Paesi;
– è normale attendersi in Italia una letalità più elevata a causa della maggiore anzianità della popolazione, anche rispetto ad altri Paesi europei oltre che, ovviamente, rispetto alla Cina;
– il numero reale delle persone contagiate è sicuramente notevolmente superiore rispetto a quanto riportato nei dati ufficiali (basati sui tamponi);
– considerando le percentuali della letalità apparente, si potrebbe ipotizzare che sia stato contagiato circa un milione di italiani (10 volte superiore ai quasi 90.000 casi della statistica ufficiale, al 27 marzo) e cioè meno del 2% dell’intera popolazione;
– il numero di decessi ad oggi registrato è quindi riferibile al (solo) 2% della popolazione (la parte stimata come contagiata);
– siamo molto lontani dalla cosiddetta immunità di gregge;
e che quindi le misure di lock-down sono le uniche in grado di frenare l’epidemia, per evitare che persone malate e non monitorate diffondano ancor più l’epidemia.
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